Il piede piatto infantile rappresenta una costante piuttosto comune negli ambulatori podologici ed ortopedici, diventando spesso fonte di preoccupazione per i genitori dei nostri piccoli pazienti, i quali contattano gli specialisti del piede, spesso inviati dagli stessi pediatri.
Ma facciamo un passo indietro…. Cosa si intendere per piede piatto?
Una definizione totalmente e universalmente accettata dalla letteratura scientifica non esiste, ma per convenzione un piede viene denominato piatto quando sussistono VALGISMO DEL CALCAGNO E APPIATTIMENTO DELL’ARCO LOGITUDINALE MEDIALE durante il carico, associati frequentemente ad una ipermobilità dell’articolazione sottoastragalica, il cosiddetto piede piatto lasso. Altre due componenti discriminative fondamentali per l’approccio terapeutico sono: Flessibilità e sintomatologia dolorosa. È infatti fondamentale distinguere se un piede piatto è flessibile, semirigido o rigido, oltreché sintomatico o asintomatico. Le cause più comuni di piede piatto nel bambino possono essere idiopatiche, associate a iperlassità generalizzata congenita ed incontinenza dello spring ligament o del muscolo tibiale posteriore oppure secondario a patologie.
La presenza di piede piatto è inversamente proporzionale all’età (3aa 54%, 6 aa 24%); si riscontra maggiormente nei maschietti con un 52% rispetto ad un 36% delle femminucce, nel 51% dei bambini in sovrappeso e 62% negli obesi. Nessuno studio in letteratura evidenzia una componente genetica preponderante, ma la presenza in famiglia ne può aumentare l’incidenza.
Doveroso specificare quindi che TUTTI NOI NASCIAMO CON I PIEDI PIATTI, tanto che, nei primi anni di vita: 2,3,4 anni, quando impariamo a camminare, avere una superficie di appoggio più ampia, rappresenta un VANTAGGIO EVOLUTIVO, non è necessariamente una PATOLOGIA. Inoltre, la pronazione del piede, spesso riferita dai genitori è quasi sempre fisiologica fino ai 6 anni di età. Per questo, a meno che non sussistano disordini neurologici o patologie congenite del piede è consigliabile allarmarsi solo se a quell’età i propri figli lamentano dolori ai piedi, camminano male, si affaticano facilmente e non riescono a correre in maniera efficiente.
La classificazione più utilizzata dai professionisti è tutt’ora quella di Villadot che lo distingue in 3 gradi a seconda della tipologia d’impronta delineata, ma in letteratura se ne trovano di svariate che prendono in considerazione:
- L’arco longitudinale mediale
- Il retropiede
- La Flessibilità
- Valutazione Radiografica
Il fatto che l’80% dei piedi piatti infantili sia asintomatico e quindi difficile intervenire laddove non esiste dolore, ha dato vita ad una molteplicità di approcci valutativi e di conseguenza svariate opzioni terapeutiche che lasciano discordi da ventenni gli stessi professionisti, creando un vero e proprio dilemma clinico. La conseguenza di tutto ciò è che, così come è altamente complicato stabilire in che modo i piedi piatti asintomatici siano problematici, lo è ancor di più scegliere l’opzione terapeutica migliore, in particolare quando si tratta di ortesi plantare, dal momento che in letteratura stessa, ad oggi non esiste chiarezza.
Il nostro approccio al piede piatto non può che partire da una buona valutazione funzionale comprensiva di anamnesi remota basata su un colloquio con i genitori, nel quale si indaga su gravidanza, parto, gattonamento, primi passi, traumi, atteggiamenti e abitudini del bambino. Successivamente, la visita, posta sotto forma di gioco nel piccolo paziente, verterà su esame in ortostatismo, tra cui vari test per testare la funzionalità del piede ed esame baropodometrico per i bambini più grandi. Sul lettino verranno valutati mobilità e dolorabilità dei distretti podalici e sovra segmentari.
Cardine del nostro ragionamento è non fermarsi mai solo al piede, ma ricercare sempre un suo ruolo adattativo o causativo nel corpo.
La opzioni terapeutiche per i piedi piatti differiscono a seconda della flessibilità e della sintomatologia dolorosa. Un piede piatto rigido non funzionale richiede infatti una consulenza ortopedica per valutare un approccio chirurgico. Quando ci troviamo invece di fronte ad un piede piatto flessibile, in presenza di buoni meccanismi compensatori o lievi deficit ci avvaliamo di più armi: l’ortesi plantare funzionale e su misura e uno schema riabilitativo per rinforzo della muscolatura intrinseca ed estrinseca del piede, spesso realizzato in collaborazione con chinesiologi e fisioterapisti con i quali collaboriamo. Non crediamo nel plantare “preventivo” come unica soluzione terapeutica per prevenire infortuni e problematiche nel tempo.
Ancora una volta ci troviamo a ribadire l’importanza della multidisciplinarietà per garantire il successo dei nostri interventi che non sono mai ad un’unica via.
Nonostante la scarsa evidenza in letteratura e i vari pareri medici discordanti sull’efficacia dei plantari, ci avvaliamo dell’importante effetto neuromotorio che essi possiedono grazie all’interazione tra superficie plantare e ortesi plantare stessa, fondamentale per creare uno stimolo correttivo nel piede del bambino in crescita. Dedicheremo un intero articolo a questa tematica che merita approfondimenti.


Bibliografia
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